Recentemente alcuni episodi mi hanno fatto riflettere sullo stato della sicurezza.

safety-officer

Il ruolo di RSPP deteriorato

Mentre tenevo un corso di formazione rivolto a professionisti della sicurezza una signora mi ha lasciato a intendere che non esiterebbe a dichiarare il falso su un documento “per tutelare il Datore di lavoro”, poiché se scrivesse le cose corrette in caso di ispezione o in giudizio potrebbe esservi una posizione più scomoda dell’azienda. Nella fattispecie si trattava di documenti riguardanti la presenza dei lavoratori alla formazione; lo stesso atteggiamento di fondo l’ho colto anche altre volte da altri RSPP, riguardo ad altri problemi e altri documenti.

Formazione alla sicurezza, l’importante è raccogliere carta

Durante un corso di formazione formatori stavo illustrando alcune prassi virtuose nella stesura di test di apprendimento validi e attendibili; prassi che purtroppo non sono molto diffuse, rendendo quindi spesso i  test di apprendimento assolutamente inconsistenti e poco più che carta straccia (ho affrontato più volte i problemi della efficacia della formazione).  Una persona in aula mi ha fatto una domanda provocatoria del tipo “Ma queste cose dove sono scritte nell’Accordo Stato-Regioni? Oppure sono cose che sostiene solo lei?”, lasciando a intendere che nel secondo caso sarebbero state secondo lui cose senza importanza. Con grande pazienza gli ho mostrato alcune fonti scientifiche che parlavano delle cose che stavo illustrando, e ho chiuso esprimendo il concetto che a volte anche le cose che non sono scritte nelle norme hanno una grande rilevanza (dubito di averlo convinto, peraltro).

Cronaca di un fallimento

Abbiamo allevato una generazione di professionisti della sicurezza molti dei quali ritengono:

  • che il proprio ruolo sia quello di tutelare i Datori di lavoro rispetto agli organi di controllo e alla magistratura, anche a discapito della sicurezza reale. E non piuttosto quello di contribuire, assieme al Datore di lavoro, a tutelare la sicurezza reale di tutti;
  • che tutto ciò che non è scritto esplicitamente nelle norme, o non è ribadito da qualche sentenza, per quanto possa essere importante, di buon senso e scientificamente fondato, non sia rilevante per la gestione della sicurezza.

Ciò è il prodotto di decenni di pratiche di sicurezza centrate prevalentemente sulle norme e sulla sicurezza come obbligo; e non come opportunità per lavoratori, aziende, famiglie.

Che fare?

Da una cultura che pone al centro le norme a discapito dell’efficacia non si può uscire creando altre norme. Chi sta scrivendo è convinto dell’importanza di avere leggi all’avanguardia, ma è anche convinto che le norme indichino il percorso da seguire, e non siano il traguardo (vedi questo post), siano un mezzo e non un fine; e invece vengono viste come fine in una cultura dell’ottemperanza che basta a se stessa. L’obiettivo è “non finire nelle grane” ma non si è capito che questo dovrebbe essere colto attraverso la creazione di vera sicurezza.

La causa è anche una formazione rivolta a questi professionisti spesa per la maggior parte a discutere delle norme, invece che a dare strumenti e cultura di sicurezza. E’ come un corso di cucina dove vengano spiegate in dettaglio tutte le normative HACCP e di igiene alimentare, e non si spieghi come cucinare. E dopo il quale l’aspirante cuoco torni a casa convinto che basti ottemperare a norme per fare una cucina di alta qualità.

Bisogna invertire la rotta, sostituire ad una iper-produzione di norme (ciascuna delle quali richiede poi di solito un’ulteriore produzione per essere meglio chiarita, applicata o corretta) la produzione di cultura, una cultura nella quale sia chiaro e prioritario il fine ultimo per il quale siamo chiamati a fare sicurezza.