In che modo le aggressioni psicologiche sul lavoro influenzano la performance lavorativa?
Mentre le fonti scientifiche, e molte fonti istituzionali europee, pongono ormai moltissima attenzione alla prevenzione dei fattori di rischio psicosociale, purtroppo si registra nel nostro Paese un ritardo culturale che fa spesso ritenere ad esempio che fenomeni come il mobbing possano essere inquadrati e affrontati solo con categorie giuridiche e medico-legali (quindi di fatto estromettendo il tema delle prevenzione: non è mobbing se non vi sono i famosi 6 mesi di azioni sistematiche), e il burnout sia solo una sindrome depressiva da comprendere nelle sue radici individuali, come se essa colpisse a caso e senza precise cause di tipo organizzativo, sulle quali invece ormai la letteratura ci ha in gran parte illuminato.
Un tale approccio tende a preservare una cultura che ha conseguenze sia sul benessere organizzativo che sulla prestazione e la redditività delle aziende.
Uno studio condotto negli Stati Uniti ( Schat, Frone “Exposure to psychological aggression at work and job performance: The mediating role of job attitudes and personal health”, su Work & Stress, 2011), e focalizzatosi sulla forma di aggressione più diffusa, quella di natura psicologica, mostra come questa abbia un effetto sulla performance riducendola attraverso almeno due tipi di influenza:
- da un lato con la comparsa di “job attitudes” negative, ovvero atteggiamenti negativi nei confronti del lavoro e che riducono la motivazione al lavoro;
- d’altro lato attraverso una riduzione della salute e del benessere degli individui, diminuendo così la loro capacità di lavorare.
Questi fenomeni compromettono gravemente le performance sotto tutti i punti di vista:
- sia quello strettamente inerente l’esecuzione dei compiti (task performance);
- sia quello inerente il contesto che ruota intorno e supporta l’esecuzione dei compiti (contextual performance).
Risulta necessario porre una maggiore attenzione al problema della violenza psicologica esercitata sul luogo di lavoro; infatti, pur essendo meno visibile della violenza fisica, essa risulta dannosa ed ha conseguenze negative per tutti, dai singoli individui alle organizzazioni nella loro totalità.
Dallo studio emerge l’importanza di programmi di prevenzione mirati alla riduzione dell’esposizione ad aggressioni psicologiche, che andrebbero considerati come un investimento a difesa di una buona e continua performance di tutti.
Nella presentazione una descrizione degli aspetti salienti dello studio.
Ecco alcune buone prassi per prevenire l’insorgenza di queste problematiche:
- Informazione e Formazione su cosa sia e come si presenti la violenza psicologica, sulle modalità di soluzione dei conflitti,
- Adozione di linee guida che contengano le informazioni sulla natura, le dimensioni del problema e gli effetti sulla salute e la qualità di vita,
- Adozione di codici di comportamento chiari, con l’indicazione che la società non tollererà atti di questa natura,
- Clausole specifiche nei contratti che regolino questo fenomeno e che prevedano sanzioni,
- L’adozione di un supporto esterno come un consigliere di fiducia, anche solo per mostrare che si riconosce l’esistenza di questo problema.
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