Il giornale titola Vercelli: 26enne suicida per colpa del bullismo dei suoi colleghi.

Vorrei mettere in discussione che le responsabilità siano esclusivamente dei suoi colleghi stronzi. Andrea sarebbe probabilmente ancora vivo se:

  • la sua azienda avesse adottato le prassi per prevenire e contrastare il mobbing indicate dall’Agenzia Europea, dall’ILO, dall’OMS (facilmente scaricabili da internet);
  • se i professionisti della sicurezza e salute avessero capito che spetta anche a loro individuare e gestire questo tipo di problemi, invece di rincorrere un’ottemperanza spesso fine a se stessa;
  • se INAIL, Ministeri e politici avessero proposto e fatto leggi italiane efficaci sul tema, invece di lasciare alla Magistratura la gestione dei casi e di invece di organizzare 1000 dibattiti e convegni sul risarcimento del danno da mobbing (tema interessante ma tardivo rispetto alla prevenzione e alla gestione del rischio stesso).

No, non l’hanno ucciso solo i colleghi stronzi, l’ha ucciso il ritardo abissale e colpevole della nostra cultura.

In Italia il “benessere” è diventato legge (art. 2 del D. Lgs. 81/08 per chi è malato di burocrazia, definizione di “salute” come “uno stato di completo benessere”; la salute è uno dei fini del decreto 81). Purtroppo occuparsi del benessere organizzativo non è compilare una banale griglia per la “valutazione del rischio stress” (una pagliacciata per come viene fatta nella maggior parte dei casi), ma capire che occorre contrastare anche gli altri fattori di rischio psicosociale come le violenze, il burnout, ecc. in altre parole occorre che i luoghi di lavoro siano sempre di più luoghi di sviluppo delle persone e non luoghi di sofferenza.

Quando intervengo nella formazione presso i professionisti della sicurezza (es. moduli C, aggiornamenti, convegni) a fronte di questi temi trovo un disinteresse notevole. Probabilmente non vi sarà un’analisi delle cause radice e l’individuazione di azioni di miglioramento nel caso di Andrea, nessuna registrazione come evento degno di essere analizzato e compreso a fondo per mettere in discussione la sua gestione. Ciò sta a indicare che non si è capito nulla del tema della sicurezza in Italia.

Qualcuno penserà “è un fatto di costi-benefici”, gli suggerisco di andarsi a rivedere bene i manuali di economia aziendale, e le recenti pubblicazioni sui costi dello stress. Il suicidio di una persona per motivi di mobbing è un danno altissimo non solo per la vittima e per la famiglia, ma per la società (la vittima ha avuto una famiglia, una scuola, mille altri servizi a lui rivolti, tesi alla sua crescita e al suo sviluppo nei precedenti 26 anni, che hanno investito su di lui: tutto vanificato in un attimo) e per l’azienda in cui lavorava (se io fossi un cliente, ad esempio, mi farei mille domande sull’affidabilità dei prodotti e dei servizi di quell’azienda; se non riesce a evitare episodi così gravi che maturano nel tempo, sarà efficace nell’individuare e prevenire difficoltà nella qualità del prodotto, ecc.? ); pensiamo poi che non vi siano strascichi della vicenda sulla coscienza e sullo stress (e sull’affidabilità, sulla salute, …) dei colleghi che hanno agito nel mobbing o degli altri che hanno assistito (spesso vittime anch’essi, in modo indiretto) agli episodi e al degenerare della situazione?

Ripresa economica? Come pensiamo che si possa correre al passo dei paesi più avanzati, dove questi temi sono presi ormai molto sul serio?